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Infine vogliamo presentarvi Giorgio Albertazzi con una nota autobiografica.
"Mi chiamo Giorgio Albertazzi. Sul mio passaporto c’è scritto: attore. In realtà faccio anche il regista, lo sceneggiatore, il riduttore di romanzi per la televisione e ora l’autore teatrale.
Alcuni amici sostengono che il mio vero mestiere è l’attore. Altri dicono che dovrei soltanto scrivere. Altri ancora che non dovrei mai più fare una regia teatrale.
Chissà quali sono fra questi gli amici autentici?
Sono nato a Fiesole. A dire il vero qualcuno sostiene che sono nato in Borgo San Jacopo, battezzato in Battistero e poi trasportato fugacemente a San Martino (Fiesole). Chissà perché? San Martino a Mensola, era un luogo arcadico. Da quelle parti ci sono stati Swift, D’Annunzio, Soffici, Swiburne, la Woolf, Berenson, ecc. Io sono nato lì, perché mio nonno ere “maestro muratore” di Berenson e noi abitavamo una dèpandance della villa “I Tatti”. Mio padre faceva il deviatore. Non c’entra niente col pilotaggio, significa che mio padre “deviava “i treni delle FF.SS. Non proditoriamente, ma agendo da una cabina piena di leve posta lungo la ferrovia.
Mio padre era di origine emiliana. Mia madre è casentinese. Ho vissuto in campagna fino a diciott’anni.
L’ultimo anno di guerra sono stato chiamato alle armi, nella R.S.I. Poco tempo dopo si sfasciava tutto.
Nell’inverno del ’45 ad Ancona, ho fondato con Titta Foti il “primo” teatro anarchico italiano. Abbiamo rappresentato Pietro Gori, Andrejeff e roba scritta da noi. Dopo un anno mi hanno arrestato per collaborazionismo militare. Ho fatto quasi due anni di carcere, prima di essere assolto.
Ne ho approfittato per leggere Marx e Engels.
Quando uscii dal carcere avevo un libro pronto (Io, criminale!) che non ho mai pubblicato.
Ritornai a Firenze. Ripresi a frequentare Architettura e ricominciai a recitare.
Che si può dire ancora, in una nota autobiografica? Che ho un passato, come si può intuire. Pieno di contraddizioni. Sono la persona più disponibile che io conosca. Chiunque può occupare il mio tempo o il mi sonno, i ritagli del mio lavoro e anche il mio lavoro stesso.
Io ci sono sempre e così mi alimento, finché improvvisamente crollo. Poi mi riprendo e tutto ricomincia come prima. Ma la contraddizione di fondo è che io sono un attore con la coscienza infelice. Già, e perciò mi agito e cerco di uscire dalla trappola.
Per uscire dalla trappola scrivo, ma forse non basta."
Giorgio Albertazzi (1973)
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